Revista de Ciencias Humanas y Sociales
© 2022. Universidad del Zulia
ISSN 1012-1587/ ISSNe: 2477-9385
Depósito legal pp. 198402ZU45
Portada: S/T. De la serie “RETORNO”
*La obra que se publica es un fragmento del original, y se le ha dado
un giro de 180° por motivos editoriales. Su original va en horizontal
Artista: Rodrigo Pirela
Medidas: 40 x 70 cm
Técnica: Mixta sobre tela
Año: 2009
Año 38, Especial No. 30 (2022): 249-261
ISSN 1012-1587/ISSNe: 2477-9385
DOI: https://doi.org/10.5281/zenodo.7527594
Recibido: 21-10-2022 Aceptado: 09-12-2022
Parola e narrazione: un percorso di creazione tra
finzione e verità
Francesca Cruciani
Università LUMSA di Roma, Italy
ORCID: https://orcid.org/0000-0003-0461-5910
francesca.cruciani23@gmail.com
Sommario
Questo lavoro analizza il rapporto tra la parola e le varie tipologie
di narrazione, facendo riferimento in particolare alla narrazione letteraria
e ai diversi generi letterari. Vengono, poi, analizzate l’arte della parola, a
partire dalla retorica classica, le strategie comunicative e persuasive, e la
relazione complessa che intercorre tra doxa e alétheia. La riflessione,
infine, si sofferma sulle narrazioni durante la pandemia, caratterizzate da
paure, contraddizioni, verità e fake news, ma anche da nuove potenzialità
comunicative e da nuove dinamiche relazionali e sociali.
Parole chiave: parola; narrazione; retorica; generi letterari;
pandemia.
Word and narration: a path for creation between fiction
and truth
Abstract
This work investigates the relationship between the word and the
various types of narration, referring in particular to literary narration and
to the different literary genres. There is also an analysis concerning the art
of the word, starting from classical rhetoric, the communicative and
persuasive strategies, and the complex relationship that exists between
doxa and alétheia. Finally, the reflection focuses on the narratives during
the pandemic, characterized by fears, contradictions, truths and fake
news, but also by new communication potential and new relational and
social dynamics.
Keywords: word; storytelling; rhetoric; literary genre; pandemic.
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1. INTRODUZIONE
Le parole possono essere vuote e iridescenti come bolle di sapone,
oppure possono essere pesanti come pietre. Possono ferire o lenire una
ferita, a seconda dell’uso che se ne fa. Ma non sono mai neutre o
asettiche. Le parole sono vive e danno vita. Non si limitano a uscire dal
corpo, ma hanno esse stesse un corpo; dipendono dal codice del
linguaggio, tuttavia, non si esauriscono in esso e trascendono sempre il
loro uso codificato. Se le parole perdono il nesso etico, che vincola alle
loro conseguenze, sono vuote. Infatti, come afferma RECALCATI
(2014), l’assunzione soggettiva delle conseguenze è sempre necessaria,
perché le parole non sono mai solo parole, ma generano e plasmano la
vita. Secondo Lacan, il muro che ci separa dalla verità è dappertutto e
concerne il linguaggio. Il muro del linguaggio non è solo una barriera, ma
è anche il terreno da cui nasce la parola, che rende possibile
l’umanizzazione della vita e l’incontro, la conoscenza e il processo di
apprendimento (RECALCATI, 2014).
All’uso consapevole della parola si ricollega la narrazione. Essa
serve per interpretare gli avvenimenti della vita e per attribuire loro un
significato che possa essere condiviso. Esistono diversi generi narrativi:
gli script, che consistono in narrazioni di azioni di routine e sono dei
resoconti di esperienze personali secondo un ordine cronologico; le
narrazioni di esperienze personali, che si basano sul ricordo e riguardano
persone e momenti specifici; il racconto di storie di fantasia, che segna il
passaggio a una attività più complessa, in cui è avvenuto il transito dalla
conoscenza degli avvenimenti al racconto di essi
(CERA, 2009). All’uso
pratico della narrazione, caratterizzato da un’istanza prettamente
comunicativa, si affiancano degli usi più mediati, legati alla conoscenza
della realtà, all’invenzione e al diletto. In base a questi differenti usi, si
delinea una serie di forme narrative distinte dall’espressione fattuale, da
quelle più antiche del mito e della fiaba, a quelle della cronaca, della
narrazione storica e dei generi narrativi più specifici (FERRONI, 1991).
Il lessico della teoria dei generi letterari deriva dal mondo classico,
in particolare dalle opere di Platone e di Aristotele. Secondo Platone
esistono tre forme principali di poesia e di mitologia: la prima, tipica della
tragedia e della commedia, si basa sull’imitazione; la seconda è propria dei
ditirambi, in cui è il poeta stesso a raccontare; l’ultima è un misto delle
due forme precedenti ed è tipica della poesia epica e di molti altri generi
(BAGNI, 1997). Per Platone la narrazione costituisce la categoria generale
alla quale viene subordinata l’imitazione; mentre per Aristotele la
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categoria generale è l’imitazione, la mimesis. La poesia è mimesis e differisce
per mezzi: danza, linguaggio, musica; oggetti: livello superiore e inferiore;
modi: drammatico, narrativo. La tragedia, nella teoria dei generi letterari
aristotelica, è un’opera imitativa di un’azione seria, con un linguaggio
adorno e altisonante, adatta a suscitare pietà e paura, pathos e catarsi. La
tradizione ci offre varie liste di generi letterari, ma i nomi presenti nelle
differenti liste non sono riconducibili ad alcun criterio omogeneo. Nella
tradizione medievale c’è la tripartizione degli stili, basso, medio e alto, e
dei generi del discorso, imitativo, narrativo e misto.
La narrazione si distingue in: fabula, che contiene avvenimenti
veri verosimili; hystoria, che fa riferimento a un avvenimento che è
accaduto molto prima della memoria del nostro tempo; argomentum, che si
riferisce a un avvenimento fittizio che sarebbe potuto accadere. Dal
termine latino fabula, che nel Medioevo identifica l’eredità narrativa
classica più importante nell’àmbito dell’insegnamento scolastico e in
quello della divulgazione morale, derivano, nelle lingue romanze, gli
iberici habla e fabla, i verbi corrispondenti hablar e fablar, e i termini italiani
“favola” e “fiaba”. La fabula, «est quae neque veras neque veri similes continet
res» [comprende eventi che non sono né veri verisimili], ha come
intento quello di riferire eventi inverosimili e di intrattenere il pubblico, e
fa parte dei generi letterari legati alla tradizione orale (PICONE, 1994). Il
sistema aristotelico viene rielaborato nel Romanticismo e si afferma la
triade dei generi lirico-epico-drammatico.
2. LA NARRAZIONE TRA LETTERATURA E SEMIOTICA
Per quanto riguarda la narrazione letteraria bisogna tenere in
considerazione sia la funzione narrativa sia quella estetica: i testi letterari
agiscono su più dimensioni, cioè possono riguardare i contenuti di un
testo, il supporto incaricato di veicolarli e tutti gli aspetti funzionali,
sociali e culturali collegati alla fruizione del testo stesso (PANOSETTI,
2018). Nella letteratura troviamo diversi caratteri specifici, dalla
connotazione alla finzionalità, ovvero la capacità di creare mondi
possibili. Alla letterarietà viene associato spesso il principio di apertura
semantica o polisemia, attraverso meccanismi come lo “straniamento” e il
“dialogismo”.
La nozione di straniamento viene proposta dal formalista russo
Victor Sklovskij, che sostiene che il nostro modo di vedere le cose è reso
ottuso dall’abitudine e, per risvegliare la capacità di visione, è necessario
che l’osservatore si metta in una prospettiva inedita, cambiando il suo
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punto di vista (MUZZIOLI, 2004). Il principio del dialogismo, invece, è
stato introdotto da Michail Bachtin, come tipico del romanzo, che integra
vari stili, linguaggi e registri. In questo caso, si dovrebbe parlare di
polifonia, più che di polisemia, perché la molteplicità di significati dipende
dalla presenza di diverse “voci”, individuali ma anche collettive
(PANOSETTI, 2018, p.74). Troviamo molti esempi di polifonia nella
letteratura russa, soprattutto nei romanzi di Fëdor Dostoevskij.
I formalisti russi, in particolare Tomaševskij, riflettendo sulla
narrazione e sul genere letterario del romanzo, introducono la distinzione
tra fabula e intreccio: la fabula è l’ordine cronologico degli eventi; l’intreccio
(sjuzet) è la storia come di fatto viene narrata, attraverso l’utilizzo di
prolessi (o anticipazione), analessi (o flashback), pause. Oltre a prolessi e
analessi, il narratore può utilizzare un’altra tecnica di alterazione
dell’ordine del racconto: l’inizio in medias res, ossia l’inizio del racconto dal
cuore della vicenda e la conseguente rievocazione dei fatti accaduti prima.
Vi sono dei punti della fabula in cui si producono cambiamenti importanti
nello stato del mondo narrato, degli “snodi” narrativi di solito introdotti
da segnali di suspense che inducono il lettore a prevedere quale sarà il
nuovo corso degli eventi, uscendo fuori dal testo, in quelle che Eco
definisce le “passeggiate inferenziali” (TRAINI, 2021, pp. 106-107).
I mondi narrativi, che sono dei mondi immaginari, si costruiscono
in funzione del mondo reale di riferimento. Secondo Umberto Eco il
lettore deve accettare un “patto finzionale”, quello che Coleridge definiva
come “sospensione dell’incredulità”, sulla base del quale il lettore deve
sapere che quella che viene raccontata è una storia immaginata, senza
ritenere, però, che l’autore dica una menzogna. Il linguista statunitense
John Searle sostiene che in un enunciato di tipo narrativo l’autore finge di
fare un’affermazione vera mentre il lettore finge che ciò che gli viene
raccontato sia veramente accaduto. Secondo Searle il “patto finzionale”
scatta in presenza di precise informazioni, come l’indicazione “romanzo”
sulla copertina, o di segnali convenzionali, come la formula “c’era una
volta” presente nelle fiabe (LUPERINI et al., 2011). Il rapporto più o
meno fedele tra il mondo reale e quello finzionale si inserisce nella
dialettica tra Autore e Lettore Modello che Eco sostiene realizzarsi in
ogni atto di lettura (TRAINI, 2021).
Anche l’ambientazione ha un ruolo importante nel testo narrativo
e può essere precisa e reale, realistica o fantastica. I luoghi possono avere
una funzione mimetica, quando il narratore cerca di ricostruire uno
scenario che fa semplicemente da sfondo agli eventi narrati, oppure una
funzione simbolica, quando le caratteristiche dello spazio descritto
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trasmettono significati utili alla comprensione del testo (LEUCADI e
GASPERINI, 2010).
Il narratore può essere interno (omodiegetico), quando è
direttamente coinvolto nelle vicende che narra, o esterno (eterodiegetico),
se non è coinvolto direttamente nelle vicende. Può essere, inoltre,
protagonista o testimone delle vicende, palese o nascosto. Può essere un
narratore onnisciente, “che sa tutto”, e può assumere qualsiasi punto di
vista, muovendosi liberamente nello spazio e nel tempo. Ad ogni
narratore corrisponde una diversa tipologia di focalizzazione, che
rappresenta la prospettiva attraverso la quale gli avvenimenti sono
osservati e interpretati. La focalizzazione interna si realizza quando il
racconto è condotto dalla prospettiva di un personaggio interno alla
storia; con la focalizzazione esterna le vicende sono raccontate in modo
impersonale e il narratore si limita a registrare i fatti e i dialoghi senza
filtrarli attraverso la prospettiva di uno dei personaggi e senza aggiungere
commenti o spiegazioni; la focalizzazione zero è tipica del narratore
onnisciente che, muovendosi nello spazio e nel tempo e nella mente dei
personaggi, può assumere qualsiasi punto di vista e quindi non ne
possiede nessuno in particolare (LEUCADI e GASPERINI, 2010).
3. L’ARTE DELLA PAROLA, TRA
DOXA
E
ALÉTHEIA
L’arte della parola è strettamente legata alla retorica e alla
persuasione. La persuasione e la seduzione nel mondo greco venivano
indicate con un unico termine, collegato a una divinità: Peithó. I Greci
sapevano che i discorsi rivolti alla comunità sono più efficaci se
combinano insieme la forza del discorso che persuade all’incantesimo
della parola che seduce (PEPE, 2020). Fin dall’antichità classica le
orazioni, organizzate con una struttura ben definita e l’utilizzo della
retorica hanno un ruolo importantissimo nelle varie forme di
partecipazione sociale e nelle relazioni umane. Come è evidente nei vari
trattati di retorica, a partire da quello di Aristotele, una delle componenti
fondamentali di un buon discorso è la sua struttura: esso deve iniziare con
un proemio, seguito dalla narrazione dettagliata dei fatti suffragata da
prove, e deve concludersi con un epilogo.
La retorica classica viene tradizionalmente suddivisa in: inventio, in
cui si trovano le prove e gli argomenti su cui si basa il discorso; dispositio,
che riguarda la disposizione delle prove e degli argomenti affinché il
discorso sia efficace; elocutio, che si occupa delle espressioni che saranno
utilizzate; actio, che insegna come impostare la voce e rafforzare il
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discorso attraverso la gestualità, la memoria, l’arte di memorizzare i vari
passaggi e gli elementi dell’argomentazione. Nell’elocutio troviamo l’ornatus,
l’arte di ornare il discorso attraverso le figure retoriche e, in particolare,
alcuni tropi: metafora, metonimia e sineddoche (POLIDORO, 2008). Si
tratta di figure retoriche del significato, che presuppongono degli scambi
semantici: nella metafora lo scambio avviene per analogia o somiglianza,
attraverso il trasferimento del significato di una parola o di una
espressione dal senso proprio a un altro figurato; nella metonimia lo
scambio avviene sulla base del principio di contiguie il sostituto viene
scelto in un’area prossima all’oggetto di partenza (la materia per l’oggetto,
l’effetto per la causa, l’astratto per il concreto, il contenente per il
contenuto, l’autore per l’opera, e viceversa); nella sineddoche il principio
di scambio non è la contiguità ma l’inclusione (la parte per il tutto, il
genere per la specie, il singolare per il plurale, ecc.) (MUZZIOLI, 2004).
Le parole utilizzate in un discorso ben strutturato devono
convincere logicamente ma anche commuovere, producendo pathos, fare
leva su razionalità ed emozioni. Le prove portate devono essere oggettive
e non alterabili da artifici retorici. Spesso si fa ricorso a una breve captatio
benevolentiae iniziale, per rendere gli ascoltatori partecipi, soprattutto
emotivamente. Questa duplice caratterizzazione della parola si manifesta
nelle diverse tipologie testuali e nei vari generi letterari.
Nei discorsi, nelle narrazioni e nella comunicazione più in generale
si intrecciano da sempre verità e finzione. I Greci distinguevano la
“verità”, alétheia (άλήθεια), dall’opinione, doxa (δόξα). Alétheia indica “ciò
che non è nascosto” e, di conseguenza, “ciò che è vero” (PEPE, 2020).
Nella concezione greca la verità è legata al dis-velamento e prevede un
processo di ricerca, mentre nel mondo latino la parola veritas indica
qualcosa di statico. Quella greca è una concezione che arriva fino ai nostri
giorni e che si riflette sull’attuale ricerca della verità in un mondo in cui
internet e i social media hanno fatto crescere esponenzialmente le
informazioni disponibili, ma al contempo hanno nascosto la verità con la
diffusione delle fake news, rendendo necessario un continuo processo di
decodifica dei messaggi e di interpretazione dei fatti, per distinguere quelli
reali da quelli inventati (PEPE, 2020).
Nel mondo greco i sofisti, filosofi considerati “maestri di
sapienza”, dal termine sophistés, che è collegato a sophìa “sapienza”,
vengono appellati così in senso dispregiativo, per indicare la loro capacità
di fare apparire sapienza ciò che non necessariamente lo è. Infatti, Platone
ne contestava il metodo e l’atteggiamento, che tendeva spesso a
confondere alétheia e doxa. La persuasione messa in atto nei loro discorsi è
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fatta di parole che sostituiscono il verosimile al vero, attraverso un
ragionamento plausibile, basato sull’illusione e su artifici ingannevoli. È
per questo che i sofisti vengono considerati in maniera negativa dagli altri
filosofi, che cercavano la verità. Tra i sofisti, viene ricordato Protagora,
filosofo originario della Tracia, che viaggiava in tutta la Grecia per
impartire, a pagamento, il suo sapere e l’arte di persuadere attraverso l’uso
della parola. Protagora è famoso per la sua opera Alétheia, nota anche con
il titolo Katabàllontes, di cui possediamo solo qualche frammento e che
riguarda la demolizione dell’idea tradizionale di verità, attraverso
confutazioni. Un altro sofista, vicino al pensiero di Protagora, è Gorgia,
che ribalta la concezione tradizionale di un’unica verità per affermare
l’esistenza di tante verità. Da ciò deriva una relatività in base alla quale
ogni individuo è depositario di una sua incontestabile verità, derivante
dalle sue sensazioni, dalle sue opinioni e dalle sue esperienze. Questo
atteggiamento, però, porta a disorientamento e, dal punto di vista politico,
addirittura all’ingovernabilità.
Nella visione di Protagora, la guida migliore per la società non è
chi possiede la verità, in quanto non esiste un’unica verità, ma chi, grazie
alle sue competenze, è in grado di persuadere e guidare la comunità verso
ciò che per essa è più vantaggioso. Protagora sostiene che alla fede
assoluta nella alétheia si deve sostituire quella nel logos, nella “parola”. Nella
sua opera, Antilogie, ovvero “discorsi contrari”, afferma che su ogni cosa è
possibile pronunciare due discorsi opposti l’uno rispetto all’altro (PEPE,
2020). In assenza di una verità assoluta è, perciò, valido tutto e il
contrario di tutto, in una relatività che investe ogni cosa e che porta a
disorientamento. La parola, inoltre, per Protagora può essere usata per
persuadere gli ascoltatori, indipendentemente dalla verità, poiché è in
grado, se usata ad arte, di rendere più forte il discorso debole. I sofisti
fanno dell’arte della parola l’arte superiore a tutte le altre, in grado di
trascinare gli animi, attraverso l’illusione e l’inganno.
La competizione verbale diventa, così, un’arte fine a stessa e il
fulcro dell’euristica. Ne è un esempio l’Encomio di Elena, scritto da
Gorgia, che mira a ribaltare le convinzioni legate alla figura di Elena e al
suo ruolo nella guerra di Troia. Per Gorgia, infatti, Elena non è la
seduttrice che ha causato la guerra, perché è colpevole solo chi compie
un’azione, mentre lei non ha agito ma subito le azioni provocate o dal
Caso, o dagli dèi o da Paride (PEPE, 2020). Ad ingannare Elena possono
essere state le parole ingannevoli e persuasive di Paride, logos e peithó,
oppure eros con la sua potenza distruttiva. Nell’Encomio, Paride è lontano
dall’eroe omerico che rispecchia l’ideale del kalòs kai agathós, non è bello e
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coraggioso come il fratello Ettore, ma effeminato e seduttore oltre che
vigliacco.
Anche Aristotele, nella Poetica, analizza il rapporto tra realtà e
finzione, creando la categoria del “verosimile”: se lo storico descrive fatti
realmente accaduti; il poeta racconta la finzione, fatti che possono
accadere, utilizzando la legge della verosimiglianza (BERNARDELLI,
2019). Nel mondo classico, dunque, la verità e la menzogna sono due
facce della stessa medaglia: Odisseo pone fine alla Guerra di Troia con un
inganno e, secondo quanto sostiene Esiodo, le Muse possono dire
menzogne simili a cose vere e ispirare i poeti a fare la stessa cosa
(CAMEROTTO e PONTANI, 2016). La verità è qualcosa di nascosto e
va cercata oltre le apparenze per farci capire il perché delle cose e farci
vivere meglio. La verità è nascosta, occultata dalla menzogna, sempre in
lotta per affermare stessa. Le apparenze delle cose e degli uomini
portano sofferenza e incutono timore o risentimento; è necessario
demolirle, lasciando a cose e persone solo la loro nuda essenza, la nuda
veritas. Il disvelamento deve partire dalla comprensione: eventi
apparentemente terribili, perché non compresi, diventano fenomeni
naturali, una volta svelate le loro cause (CAMEROTTO e PONTANI,
2016).
4. NARRAZIONE E PANDEMIA
Durante la pandemia le narrazioni hanno assunto punti di vista
straniati e le continue informazioni che abbiamo ricevuto ogni giorno,
attraverso i diversi mezzi di comunicazione, hanno condizionato la
formazione delle nostre opinioni e ci hanno resi più vulnerabili rispetto a
eventuali fake news. La paura del virus Sars-Cov 2 ha, infatti, generato un
clima di paura e di incertezza che ha coinvolto i diversi àmbiti della vita
umana e tutte le modalità di narrazione, attraverso il confronto continuo
tra verità e finzione, doxa e alétheia. La sensazione di incertezza, causata
dall’indeterminatezza e dall’invisibilità dell’oggetto coronavirus, ha
provocato forti stati di ansia e di stress.
Le narrazioni sono sempre state utilizzate per far fronte a
situazioni complesse e traumatiche e per trovare un senso all’incertezza,
dato che le storie creano occasioni per evadere dalla realtà e per
esorcizzare le paure. La paura può essere considerata un meccanismo
auto-protettivo utile alla crescita e allo sviluppo della personalità, in
quanto riesce ad attivare alcune reazioni che servono a difendere
l’individuo dai pericoli dell’ambiente. Essa, come segnale di allarme
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fisiologico, legato all’istinto di sopravvivenza, in conseguenza a una
situazione di rischio, è un dispositivo vitale per evitare i pericoli. Le
funzioni essenziali della paura sono: la salvaguardia dell’io e la
strutturazione della personalità, la garanzia della sopravvivenza, la
preparazione al pericolo, lo sviluppo delle capacità elaborative. È
necessario distinguere una paura esistenziale e fisiologica, che proviamo
tutti, da quella patologica, che si manifesta con un’intensità eccessiva,
anche in assenza di un pericolo reale.
Oltre a essere eventi inerenti alla psiche del singolo individuo,
l’ansia e la paura appartengono anche all’immaginario collettivo di
una certa società e di una precisa epoca storica, e diventano fattori
culturali. Nell’immaginario collettivo di un popolo rientrano quindi
anche le sue paure, le immagini oniriche e le immagini-simbolo. I
fantasmi della fantasia che si trovano nelle narrazioni letterarie
attuano una catartica diversione dal reale, trasgrediscono alle norme
del quotidiano ed esorcizzano le paure profonde individuali e
collettive.
Nelle narrazioni fiabesche, in particolare, si esorcizzano le
paure ancestrali, basti pensare a Le Mille e una notte, in cui grazie al
racconto si sconfigge la paura della morte; si parla dei problemi
umani universali, delle contraddizioni e delle problematiche della vita,
che devono essere affrontate e superate, non rimosse. Il bambino,
dunque, deve lottare contro le difficoltà della vita e superarle. A tal
fine è utile la ripetizione di alcune tipologie di racconti, favole, fiabe, che
assume una valenza catartica nei confronti di esperienze traumatiche.
Infatti, secondo Bruno Bettelheim le fiabe sono necessarie per la crescita
del bambino, poiché non si limitano a raccontare ma sostituiscono i riti di
passaggio e hanno un importante valore educativo. In esse si viene in
contatto con le contraddizioni dell’animo umano e del mondo, ma queste
contraddizioni vengono analizzate e superate una alla volta, poiché gli
aspetti positivi sono nettamente separati da quelli negativi, senza
l’ambivalenza del reale (BETTELHEIM, 1976). Le fiabe esprimono i
dilemmi interiori in una forma semplice, facilmente capibile dai bambini:
le situazioni e i personaggi sono essenziali, tipici anziché unici, e le virtù e
i vizi sono incarnati in maniera nettamente distinta dai vari personaggi, il
male e il bene sono onnipresenti ma anche separati in maniera chiara e
definita (BOERO e CRUCIANI, 2020).
Durante la pandemia alle paure naturali e fisiologiche, che sono da
sempre oggetto delle diverse forme narrative, si sono associate paure
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sociali, legate alla situazione e al confronto con un virus che ha minato
profondamente tutte le relazioni umane. Accanto a queste difficoltà,
tuttavia, con la pandemia sono emerse anche nuove prospettive
informative e narrative, che hanno incrementato le potenzialità
comunicative delle tecnologie e dei media e le nuove modalità di relazione
e di socialità a distanza. In particolare, durante il periodo in cui siamo
rimasti in casa, in seguito alle limitazioni degli spostamenti e alle chiusure
imposte dalla pandemia, si è verificata una crescita sostanziale dell’utilizzo
dei social network, considerati non solo come una piazza di incontro
sociale e di scambio di informazioni, ma come opportunilavorativa e
organizzativa per diverse tipologie di attività.
Chiusi dentro le mura domestiche, il mondo di fuori arrivava
tramite la narrazione frammentata delle cronache dei giornali e la
mediazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
attraverso immagini che rimbalzavano sui monitor. Queste nuove
modalità di interazione, caratterizzate dall’utilizzo delle tecnologie, hanno
contribuito a mantenere, anche se sotto una diversa forma, le reti
relazionali e comunicazionali, creando un nuovo equilibrio del tessuto
sociale e consentendo meccanismi di resilienza e di adattamento a una
situazione di crisi, straniata e straniante.
5. CONCLUSIONI
Il rapporto che intercorre tra la parola e la narrazione è
estremamente complesso. Alla base della narrazione è necessaria una
riflessione profonda sull’uso consapevole delle parole, sulle diverse
tipologie testuali, sulle caratteristiche dei generi letterari e sul processo che
porta a discriminare verità e finzione. Come è emerso nella prima parte di
questo lavoro, la parola p essere utilizzata per incantare e per
persuadere, può combinare forze irrazionali e seduttive legate a emozioni,
stati d’animo e sentimenti, ma se vuole essere incisiva deve mantenere il
legame con il nesso etico e con la verità.
La parola è alla base della comunicazione umana e di ogni forma di
narrazione. Nel mondo contemporaneo alle narrazioni tradizionali,
collegate ai diversi generi, si sono affiancate narrazioni basate su
concezioni testuali più aperte e su generi letterari che si mescolano tra
loro e che diventano sempre più ibridi. Le riflessioni sulle differenti
tipologie testuali, sui generi letterari e sul rapporto tra doxa e alétheia, da
sempre necessarie nei processi narrativi, diventano ancora più importanti
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nella nostra società, globalizzata e interconnessa. In particolare, come
emerge nell’ultima parte di questo lavoro, il legame di interrelazione tra
verità e finzione si manifesta con tutte le sue complessità e problematiche
nella società attuale, poiché la pandemia ha stravolto il modo di
comunicare e di narrare, mettendo in evidenza le discrepanze tra verità
scientifiche e opinioni, tra diverse tipologie di informazioni e differenti
modalità di comunicazione.
Alle problematiche e alla complessità, tuttavia, si aggiungono
anche nuove potenzialità comunicative, nuove dinamiche relazionali e
sociali, ulteriori prospettive e spunti di riflessione per il futuro.
6. RIFERIMENTI
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Francesca Cruciani
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DATI BIOGRAFICI DELL’AUTORE
Francesca Cruciani. È cultrice della materia in Semiotica presso
l’Università LUMSA di Roma. Da alcuni anni si interessa del rapporto tra
semiotica, cultura umanistica e letteratura. È docente di materie letterarie
nella scuola secondaria di primo grado e formatrice. È co-autrice della
pubblicazione: BOERO, Marianna e CRUCIANI, Francesca. 2020.
Pubblicità mitiche: il caso delle fiabe. Filosofi(e) Semiotiche. Vol. 7. Nº 1:
38-48.
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UNIVERSIDAD
DEL ZULIA
Revista de Ciencias Humanas y Sociales
Año 38, Especial N° 30 (2022)
Esta revista fue editada en formato digital por el personal de la Oficina de
Publicaciones Científicas de la Facultad Experimental de Ciencias, Universidad del
Zulia. Maracaibo - Venezuela
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